Un lungo cammino…

La propria strada è celata


Il dolore ottunde e confonde
attanaglia la mente e il pensiero
travisa ogni bagliore in buco nero
l’ausilio d’una macchinetta allevia
i passi e la mente, che confonde
il giorno e la notte accomunati
fratelli, nel dolore incessante
filo rosso del mio sopravvivere
con una sola medicina e terapia
l’immergermi corpo e mente
nel filo scarlatto della poesia.
Poesia mio approdo salvifico
luminosa boa nella tempesta
che risplende nel buio, m’accende
la vita e le dà un vero senso!




Ho intravisto il battello di Caronte
navigare verso il mio sicuro porto
sereno affrontavo la mia vita tumultuosa
fece vacillare il mio corpo con immense onde
che inondavano di scuro salmastro
ogni lucente mio ricordo del passato
chiglia profonda a scardinare conchiglie
e sabbie sedimentate da una vita
segnata dalle difficoltà del sopravvivere
alla sua minacciosa nefasta ombra.
Rinforzando gli argini con la poesia
sugli scogli che egli poneva nel cammino
sul sentiero da Dio a me donato.
Ricco di versi e silloge composte.


   




In fiamme Fisherman’s Wharf
con lei in fuoco i miei ricordi
le lunghe camminate sul molo
mano nella mano con mia moglie
occhi stupefatti alle meraviglie
che gli americani sanno offrire
col loro animo ancora ingenuo
s’allietano ancora come bambini
per ogni spettacolo incredibile
come un vecchio molo recuperato
molo dei pescatori italiani è rinato
attraendo gente da tutto il mondo
sa donar loro e generoso offrire
in fiamme le immagini nel cuore
i nostri passi su gli antichi legni
gli occhi attenti di turisti stupefatti
dal molo colmo di piccole meraviglie
salutati da vocianti leoni marini
addossati gli uni sugli altri!
In fiamme Fisherman’s Wharf
ed in fiamme ogni mio ricordo
che ostinatamente non scordo…

  

Quando, questa mattina mi lasciasti lì sul marciapiede al volo
ed in un balzo scesi dall’auto porgendoti un saluto con la mano
scrutando, ansioso, nello specchietto per scorgere il tuo viso
mai avrei pensato che fosse l’ultima volta che l’avrei veduto.

Quando, accesi la sigaretta osservando, lo sguardo curioso
quella strana tipa, tutta di rosa vestita ed i suoi piedi affilati,
e la sua mano agitata, nervosa, mi squadrava nascosta da lenti nere,
mai avrei creduto fosse l’ultima donna che avrei osservato.

Quando, immergevo il mio sguardo nel caffè bollente e rivedevo,
innocente, il tuo sorriso, tu nel mezzo del cortile assieme ai tuoi compagni
correre come uno sciame d’api giocose, miele e zucchero della vita
bambino mio, mai fosse stato l’ultimo sorriso che m’avresti offerto.

Quando seduto sulla poltrona di pelle meditavo su rapporti e relazioni
sulle reazioni dell’amministratore da contenere, alle prospettive
del mercato che mi offrivano un’opportunità ed un futuro sicuro
mai avrei immaginato che esso fosse dinanzi a me infuocato e scuro.

Quando, raggiungesti l’ultimo piano e le scale mobili mi portavano lente
al piano aperto dove il cielo è più vicino alle case e son macchie gialle i taxi
la curva della terra, come fantastico trampolino con il sole per medaglia
mai avrei creduto che quello fosse stato il mio ultimo salto.

Quando, squillò il telefono e risposi, il tuo pianto acuto, mi dicevi: ti amo
e non capivo, seguivo inebetita lo srotolarsi d’interminabili attimi: ti amo
rispondevo al telefono ormai muto, il fuoco ingoiava crudele ed assurdo
la vita: la tua, la mia. Avrei fermato il tempo per sentire la tua voce in eterno.

Quando, salivo le scale quattro a quattro, il fumo acre sempre più denso e invadente
ed io bardato di asce, estintori e maschere come un cavaliere del nuovo millennio
correvo imponendo al cuore uno scudo, nascosta la paura dietro la mia armatura.

Salendo ogni piano stridente metallo, ogni atrio scroscianti cristalli, ogni passo lembi di fuoco
e donne, e uomini torcia, vento infernale e incedere lento del cemento su se stesso
un assurdo e malefico accartocciarsi del mondo, rinchiudersi in sé dell’universo.
Immaginavo la morte meno atroce, le porte d’un inferno aperte da un volo innocente.

Scritta il 12 Settembre 2001




In questo mare di dolore
oceano di malinconia
sprofondo nella solitudine
mi accompagna la poesia
mitigato solo dal miagolio
d’un timido gatto color sabbia
i miei versi sperduti a rassettare
la tavola e varie stoviglie
torna il ricordo di me bambino
a giocare con soldatini e biglie
me piccino innocente e fragile
sognatore di castelli e fragole
in questo oceano di poesia
innalzo il mia ferita testa
scrivendo in continuazione
scrivere per me è liberazione.



Mezze facce per strada
occhi spauriti perduti
gente normale, politici
dottori e infermieri in trincea
contro un nemico invisibile
che ha sconvolto il mondo
diviso la fragile umanità
il fragile progresso senza vaccino
una nuova guerra mondiale
contro un’infinitesimale nemico
che copre le nostre facce
le bocche coperte da maschere
tutti uniti dalla resilienza
umanità unita dal terrore
di un virus orientale
che toglie il respiro
ed infiamma i polmoni
in un mondo infiammato.

Nessuno sottolineo nessuno
ha consapevolezza del mio dolore
né mia moglie, né mia madre
hanno coscienza della pesantezza
d’ogni passo, d’ogni gesto,
la pesantezza del pensare
ragionare concepire poesie
è l’unica mia libertà, che pari agli altri
mi fa sentire alla loro altezza
d’una vita senza alcuna pesantezza
col loro passo svelto e leggero
che ai miei occhi pare severo
ammonimento di ciò che ero
e non sono più, forse oggi son migliore
non sperpero i giorni su bilanci
attivi e passivi di astronomiche cifre
milioni di dollari per oleodotti
che inquinano il mondo e le anime.

Versi come gabbiani
sorvolano i miei pensieri
le onde dei miei tormenti
scrutano leggeri e severi
come gabbiani volano
maestosi s’allontanano
per accedere ai miei dolorosi
porti, porti disorientati
senza bussola, né stella polare
vanno, e s’allontanano senza guardare.

Poesie figlie mie senza la gioia
d’un vostro abbraccio
d’una vostra delusione
da lenire con mie parole
d’affetto e di vero amore
figlie mie senza lacrime né baci
senza progetto per il futuro
nella vostra vita di pietra
scolpite su fogli bianchi
davanti i miei occhi stanchi.



Il dolore ottunde la mente
offusca il passato ed il presente
rallenta i gesti ed il pensiero
rende ogni colore simile al nero
urla ad ogni passo, ogni segno di vita
circuisce i sensi li inibisce offende
il dolore non si placa un secondo
rendendo pesante ogni cosa
prepararti la colazione il pranzo
leggere un libro un quotidiano
ascoltare la musica unica liberazione
ti riporta indietro nel tempo passato
quando nei tuoi gesti nulla pesava
la tua vita lenta e ordinata scivolava
verso la tua strada della felicità
era colma d’amore e serenità
unico dolore era non aver prole
lontana la poesia: solo un’illusione…


Non ce la faccio
a descrivere a parole
con la pressione addosso
e con la paura che dilaga nel mondo
rileggo vecchie mie poesie
mi estraneo e mi confondo
mi domando stupefatto: son mie?

Non ci sono dubbi sull’autore
visto che son stampate dall’editore
in un volume di tanti anni fa
quando soffrivo pene del cuore
la paura il timore toglie le parole
ti perdi nel cercare rime ignote
non vorresti ripetere versi di altri.

Notifiche di Facebook distraggono
la tua concentrazione sul libro
che stai scrivendo dal mese di Marzo
sei arrivato a quattrocento pagine
e non hai esaurito la tua ispirazione
distolta dalle notizie sul corona virus
che come valanga inonda ogni cosa.

Non ce la faccio a ritrovar la strada
che porta serena a scrivere d’emozioni
quand’è la paura che tutto domina
il cuore batte e la mente ha paura
per cari lontani che vorresti abbracciare
ma con Skype puoi solo vedere e parlare
e persino la tua psicologa chiede di usare.